“La bottega del caffè” di Carlo Goldoni a Ragusa
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Scalinata del Castello di Donnafugata, Ragusa.
Compagnia Godot di Bisegna e Bonaccorso.
“La bottega del caffè”, di Carlo Goldoni.
Scena e regia di Vittorio Bonaccorso.
Costumi di Federica Bisegna.
Con Federica Bisegna, Vittorio Bonaccorso, Lorenzo Pluchino, Benedetta D’Amato, Alessandra Lelii, Alessio Barone, Stefano De Santis, Federica Guglielmino, Roberto Palomba, Mario Predoana, Mattia Zecchin.
La messa in scena de “La bottega del caffè”, della Compagnia Godot di Ragusa, per la regia di Vittorio Bonaccorso, restituisce con brillantezza e profondità tutta la carica morale e sociale del teatro di Carlo Goldoni, facendo emergere chiaramente la figura del commediografo come fine osservatore della società del suo tempo, immersa nel cambiamento radicale provocato dal declino dell’aristocrazia e dall’ascesa inarrestabile della borghesia, definita dal potere del denaro. La scelta di Goldoni di ambientare la commedia in una piazza veneziana (lo rifarà con l’altrettanto celebre “Il Campiello”), spazio pubblico per eccellenza, non è casuale. E’ lì che la borghesia si muove, contratta, controlla e giudica. In particolare, il caffè diventa centro simbolico della vicenda, luogo di incontro ma anche di controllo sociale, punto nevralgico del commercio e della circolazione delle idee e dei capitali. Il Ridolfo di Federica Bisegna, straordinaria più che mai nei panni di un personaggio maschile, incarna perfettamente il personaggio etico, il caffettiere onesto e giusto, che cerca costantemente di ricondurre gli altri sulla retta via, rappresentando l’ideale di equilibrio che si oppone al caos materiale e morale che lo circonda. Accanto al caffè, Goldoni pone altri due spazi, la casa da gioco e la casa della ballerina Lisaura, ovvero i luoghi dell’azzardo e del desiderio inconfessabile, da sempre topos della società borghese. Dunque, per Goldoni questi non sono semplici ambienti scenici, ma veri simboli del Capitale nascente, in cui i personaggi si muovono secondo logiche di guadagno e apparenza. Qui, l’autore veneziano esercita la sua analisi sociale con grande lucidità, figlia di un iluminismo sempre più implacabile, mediata dal tono leggero della commedia. Ne è esempio il biscazziere Pandolfo, interpretato con misura da Stefano De Santis, figura ambigua e manipolatrice, che rappresenta il sistema stesso del gioco, sempre pronto ad approfittare delle debolezze altrui. In questa sorta di teatro nel teatro, spicca anche la figura di Eugenio, mercante e giocatore incallito, incapace di gestire il denaro e le relazioni affettive, reso in scena da uno straordinario Lorenzo Pluchino. Al suo fianco, la moglie Vittoria, interpretata dalla sempre superba Benedetta D’Amato, la vera vittima della commedia. Donna fedele e disperata, testimone della dissoluzione familiare e morale che il denaro può causare. Ugualmente significativi sono il baro Flaminio-Leandro, interpretato con finezza da Alessio Barone, e sua moglie Placida, la sempre puntuale Federica Guglielmino, costantemente e disperatamente sulle sue tracce. E infine, la ballerina Lisaura, portata in scena dalla sempre più convincente Alessandra Lelii, è una cortigiana intelligente e scaltra, che cerca di sopravvivere in una società feroce, muovendosi tra difesa della propria rispettabilità e ricerca della convenienza economica. Un personaggio affascinante e lucido, di una incredibile modernità, che Goldoni non condanna, ma osserva con disincantato realismo. A fare da collante narrativo è Don Marzio, il pettegolo decadente nobile napoletano, motore maligno delle dicerie che muovono l’intreccio. In questa messinscena, è lo stesso regista Vittorio Bonaccorso a vestirne i panni in maniera mirabile, ispirato dalla vocalità del Totò di “Signori si nasce”, ma anche da certi toni grotteschi dell’ Eduardo di “Natale in casa Cupiello”. È un personaggio profondamente negativo, simbolo della società dell’epoca, alla fine sconfitto dalla vena pedagogica di Goldoni, ma anche una figura penetrante, immersa nei meccanismi perversi del potere borghese, basato su maldicenza, sospetto e controllo sociale. Goldoni, pur mantenendo un intento morale evidente, non cade mai nel moralismo. Il suo teatro è piuttosto uno specchio ironico e disincantato di una realtà che cambia, e che egli racconta con intelligenza, ritmo e grande capacità di introspezione sociale. Il valore pervasivo del denaro fu il tema centrale anche del rifacimento di quest’opera realizzato, nel ’69, dal geniale cineasta e drammaturgo tedesco Rainer Werner Fassbinder, riversato in seguito in pellicola, a conferma della attualità e universalità dell’artista veneziano. Per Goldoni il denaro non è solo strumento, ma anche misura delle relazioni umane, dei successi e delle cadute. La regia di Bonaccorso è incisiva, moderna e rispettosa allo stesso tempo. L’uso sapiente di motivi mozartiani accompagna con leggerezza i passaggi più complessi della commedia. Il ritmo è serrato ma mai frenetico, e consente a ciascun personaggio di trovare il proprio spazio drammaturgico. Il pubblico ha saputo cogliere tutto questo, sottolineandolo con applausi spontanei durante alcune scene particolarmente riuscite e con un’ovazione finale, che ha suggellato una rappresentazione brillante, intelligente e profondamente attuale. Grazie ancora alla Compagnia Godot di Ragusa, capace di mettere insieme, con grande successo di critica e di pubblico, in questa stagione estiva, tre grandi autori come Pirandello, Shakespeare e Goldoni. In mancanza di un Teatro Stabile, la città di Ragusa può, in compenso, godere di una Compagnia teatrale cha da trent’anni svolge un’attività di primordine per organizzazione e qualità artistica.
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