Note di regia
“Il maligno dice male dé buoni; lo stolto or dé buoni, or dé malvagi; il saggio di nessuno mai”
(Giacomo Leopardi)
Di Carlo Goldoni abbiamo messo in scena il suo manifesto programmatico cioè Il teatro comico, costruito sulla falsariga della Impromptu de Versailles di Molière, dove è sfruttato l’espediente metateatrale per portare in scena una compagnia durante le prove. Adesso è la volta di una delle sue più conosciute commedie: La Bottega del caffè. Essa è inserita all’interno di quella che verrà poi considerata dagli studiosi come la riforma teatrale attuata da Goldoni, e fa parte anche di quella sfida vinta delle nuove 16 commedie da scrivere in un anno (1750 – 1751). E’ ispirata da uno degli “intermezzi musicali” che si pongono come esempi di virtuosismo plurilinguistico e di talento comico da parte di Goldoni, che si riveleranno poi in altre opere come il Campiello. L’ambientazione è proprio un campiello (cioè una piazzetta) dove si affacciano varie attività: il caffè, luogo centrale dell’azione, la bottega del barbiere, la casa da gioco, la casa della ballerina e la locanda. Con tale opera l’Autore si mostra innovatore, portando in scena uno spaccato della società veneziana dove Goldoni non mette a confronto categorie sociali diverse, ma modi di vivere opposti che si scontrano con le loro debolezze e le loro difficoltà nel reagire alla condotta degli altri. Immersi in un’atmosfera che li fa vivere e che rende coinvolgente il loro “flusso e riflusso” come lo definisce Don Marzio. Quest’ultimo è il vero protagonista dell’opera, talmente originale nella sua invenzione e con la sua forza scenica che rischia di risolvere in sé stesso tutta la commedia. Nella sua natura irrefrenabile e straripante come la sua maldicenza e la sua vanità, è un prodotto della società di quel tempo, un essere umano come gli altri, affetto da un’assoluta inconsapevolezza di sé stesso. Fra i vari personaggi abbiamo i due opposti: il caffettiere Ridolfo, ostinato moralista e il biscazziere Pandolfo, con la sua totale amoralità. Poi ci sono gli altri: il mercante Eugenio, giocatore sfortunato e marito infedele; il baro Flaminio, che si spaccia per Conte Leandro; l’ambigua ballerina Lisaura; l’infelice Vittoria, moglie di Eugenio e la disgraziata Placida, travestita da pellegrina e in cerca del marito Flaminio.
Vittorio Bonaccorso
Trama:
Ridolfo ha preso a cuore la sorte del mercante di stoffe Eugenio, che frequenta la casa da gioco di Pandolfo e ha subíto ingenti perdite giocando a carte col conte Leandro. Nel frattempo da Torino è giunta Placida, che, travestita da pellegrina, è in cerca del marito Flaminio, del quale ha perso le tracce. In queste avventure si inserisce don Marzio, nobile napoletano che, ambiguo e pettegolo, si diverte a raccogliere le confidenze degli altri personaggi per poi spifferarle e metterli in cattiva luce. Don Marzio insinua in Eugenio l'idea che Lisaura pratichi la prostituzione e che Leandro sia il suo favorito, inducendo il giovane a corteggiarla spudoratamente; allo stesso modo mette in dubbio l'onorabilità di Placida, giurando che la donna sia in realtà solita giungere a Venezia in occasione del Carnevale per recitare la parte della moglie abbandonata per attirare gli uomini, e che dietro la sua richiesta d'aiuto vi siano profferte amorose nei confronti di Eugenio. Inoltre, il nobile rivela a Vittoria che Eugenio ha cercato di vendere i suoi orecchini per pagare i debiti, cosa che peraltro ha proposto egli stesso offrendosi poi come intermediario. Venuta a sapere delle malefatte di Eugenio, Vittoria minaccia di lasciarlo riprendendosi anche la sua dote; anziché consigliarlo per il meglio, don Marzio spinge il giovane a festeggiare la ritrovata libertà organizzando un pranzo a cui prenderanno parte anche Lisaura e Leandro. Alla festa tuttavia irrompe Placida, che riconosce nel conte Leandro il proprio marito, il quale fingeva di essere un nobile per procurarsi avventure; a sua volta, Lisaura spiega di non essere affatto una prostituta, ma di aver accettato la corte di Leandro poiché credeva che il giovane l'avrebbe sposata. A quel punto la situazione precipita: Leandro/Flaminio cerca di uccidere Placida, Lisaura caccia di casa il suo amato e Vittoria lascia Eugenio. Don Marzio, tuttavia, cerca di convincere Eugenio e Flaminio che essersi liberati delle proprie donne sia la cosa migliore che possa esser capitata; intanto il napoletano fa involontariamente arrestare Pandolfo dopo aver rivelato al capitano dei birri i trucchi con cui l’uomo inganna i giocatori. Ridolfo, con l'aiuto del suo garzone Trappola, riesce a far ragionare Eugenio e Flaminio: pentiti, i due si ricongiungono alle mogli e vengono perdonati anche da Lisaura. Don Marzio viene invece accusato di essere uno spione e un diffamatore: ormai abbandonato da tutti, manifestando il proprio disprezzo nei confronti dei borghesi veneziani, il napoletano lascia la città.